John Evans (nato a Sioux Falls, nel South Dakota ma cresciuto in California) si trasferì a New York nel 1963, fresco di laurea all’Art Institute di Chicago. Nella Grande Mela divenne subito parte della vibrante comunità di artisti e poeti e strinse amicizia con maestri dell’arte moderna quali Alice Neel. Fu membro del movimento newyorchese Neo-Dada e fu tra i pionieri della Mail Art scambiando con Ray Johnson, di cui era ottimo amico, molte opere di Mail Art. A solo un anno dal suo arrivo a New York, Evans cambiò radicalmente rotta nella sua ricerca artistica. Pur continuando a lavorare su tele di grandi dimensioni, il 1964 sancì l’inizio della sua produzione quotidiana e metodica di collages. Un corpus di opere che conta più di 13.140 collages: un collage al giorno per ben 36 anni che alla fine del mese inseriva puntualmente in un raccoglitore fungente da diario. Pezzi unici e assolutamente originali realizzati con tutto ciò che girovagando per le strade dell’East Village aveva per un qualche motivo attratto il suo sguardo e catalizzato la sua attenzione. Scarti cartacei di ogni genere, forma e colore – dai biglietti della metro, alle etichette delle bottiglie di vino; dagli inviti a teatro, ai resti di lettere strappate – a cui aggiungeva alle volte un contorno, un commento, o elementi più prettamente autobiografici – come foto di famiglia o cartoline di amici. Un insieme di elementi poi finemente ricomposti su fogli di carta di uso comune fino a dar forma a disegni estremamente raffinati ed eleganti siglati singolarmente con un timbro che riporta la data di esecuzione. Un intreccio di tracce di memoria privata, autobiografica e collettiva, felicemente ricomposte, entro cornici delineate con tratto sicuro, a spartire la zona del foglio dove mettere in atto il processo creativo. Cornice alla cui base compare in modo ricorrente il disegno ripetuto di un’oca, espressione di gratitudine personale all’amica artista e scrittrice Ursule Molinaro, amante degli animali e in particolar modo delle oche, che avendolo preso in simpatia agli inizi della sua carriera lo introdusse nell’ambiente artistico newyorkese.
Allo scadere del 2000 Evans smise di produrre i suoi collages quotidiani. Riprese a farne dopo sette anni, ma in maniera sporadica e di più grandi dimensioni. Le sue peregrinazioni per le strade intorno all’East Village non finirono lì. Dal 2000 al 2007 iniziò a recuperare per strada un’infinità di piccoli oggetti poi puntualmente riposti in bottiglie vitree di varie forma e grandezza. Quando nel 2007 riprese a produrre collages tornò anche alle origini del suo percorso artistico riiniziando a lavorare su grandi tele.
Con i suoi collages John Evans trasmuta i rifiuti degli altri in preziose tracce delle loro vite, perché dietro ogni singolo pezzetto di carta c’è inevitabilmente una storia privata, un momento, un pensiero, un’azione; una gioia o un dolore, un contatto o uno strappo. Da un lato dunque, l’apertura verso l’esterno, il girovagare quotidiano per le strade attorno a casa alla ricerca maniacale di tutto ciò che poteva servirli per dar voce al suo istinto creativo. Dall’altro invece, l’intimità della casa, il suo studio, il luogo della creazione vera e propria, della riappropriazione e rielaborazione delle tracce di vita altrui frammiste, alcune volte, alle proprie. Risultato di tutto ciò, un insieme di piccoli capolavori che danno indizi di mode, costumi e atmosfere di un’intera generazione, o si rivelano come testimonianze uniche e originali di momenti storici determinanti per il suo paese o il mondo.
Era una persona autentica John Evans, fare i suoi collages quotidiani era per lui un lavoro come un altro, che svolgeva con serietà e rigore all’interno delle mura domestiche,
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