Storia della casa
L’ascensore che sale, il ponf dell’arrivo, il campanello driin, l’attesa della porta che si apre e fa stoc. Dritto in casa, come una magia. E l’odore della casa che ti invade, il sorriso di nonna che ancora oggi mi aspetto dietro quella porta.
suoi abbracci, che ti tengono stretta.
Per anni ho pensato che Roma fosse molto piccola.
Che fosse grande quanto un quartiere. E anche più piccola. Come una casa da esplorare. Così grande che con gli occhi di bambina chissà cosa sembrava. I sottotetti, per cominciare: non erano sgabuzzini ma cunicoli segreti. E la TV in bianco e nero che dopo il carosello “bimbi si va a nanna!”: troneggiava in una stanza tutta per lei.
I pomeriggi di visite coi marrons glacés sempre pronti in un piattino impreziosito di violette zuccherate; il rito della carica agli orologi sparsi per casa cui seguiva quello delle adorate piante da innaffiare; la nonna che strilla perché di nuovo il nonno le ha nascosto una spazzola nel letto e lei di nuovo l’ha presa per un topo; l’albero di Natale con le palline di Cartograf; la tavola imbandita ogni giorno come fosse speciale e il campanello d’argento per chiamare il cameriere in guanti bianchi; le patatine che finiscono a mo’ di cascata TUTTE nel piatto del nonno e ovviamente né io né mio fratello osavamo fiatare e la nonna, impietosita, strillava “Adolfo, smettila!”; i grandi armadi senza fondo pieni di meraviglie da saccheggiare e peccato che le scarpe no perché nonna portava il 35; la scala che scricchiola e allora zitti zitti non facciamo rumore ché sennò ci scoprono; e infine le notti stellate sul terrazzo del superattico con le amiche a chiacchierare sui materassi rubati ai letti.
Nonno e nonna in questa grande casa progettata dallo studio Monaco–Luccichenti, quelli dell’aeroporto di Fiumicino, ci sono arrivati nel 1958, comprata fresca fresca dal costruttore, e da quel giorno a oggi la casa è sempre la stessa, nulla si è mosso perché alla fine tutto torna: il parquet è sopravvissuto alle moquettes, il marmo ai Bisazza vari, gli armadi a muro alle cabine armadio dove poi s’impolvera tutto.
Ma il regalo più bello che voglio fare a chi in questa casa verrà ad abitare è un segreto.. Nell’angolo più a ovest del terrazzo il sole combatte la sua lotta quotidiana contro il buio ed è lì che mio nonno, ogni santo giorno tornato dal lavoro, si sedeva ad aspettare l’avvicendarsi dei colori fino a quando non veniva il blu scuro della notte. Se chiudo gli occhi vedo ancora la sua sedia che sta lì, appoggiata al muro.
E aspetta solo di essere riaperta.
Elisabetta Trautteur
Roma, 29 Gennaio 2014
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Riprendo il filo
Cari Tutti,
ho deciso inaspettatamente di riprendere il filo di quel discorso, durato ben sette anni e interrotto per cause di forza maggiore nel giugno 2007. Dico inaspettatamente, perché fino ad inizio novembre l’idea di rimettermi in ballo con l’arte contemporanea e gli artisti era lontana da me anni luce. In quel momento ero ancora in full immersion su di un progetto di mostra storica molto particolare e di pressoché impossibile realizzazione.
Eppure le cose non succedono mai a caso. Se non fosse stato proprio per la percezione di essere in un vicolo cieco con quel mio progetto e con il bisogno sempre più impellente di riprendere a lavorare per potermi affrancare dal cliché in cui inevitabilmente ero caduta (“felice di esser mamma ma spaesata decentrata e sempre più frustrata per non aver più una mia identità oltre a quella di madre”) non avrei probabilmente mai pensato di fare quella telefonata (ad un mio vecchio e caro amico artista, per andarlo a trovare a studio) che si è poi rivelata determinante per la nascita del mio progetto Arteealtro e di questa prima mostra.
Appena messo piede nello studio di P. sono rimasta letteralmente folgorata: grandi tele, altre forme, nuovi colori e la sua stessa voce di sempre, calma, equilibrata, saggia e pacata. E cosi è nato un dialogo un po’ surreale fatto di mie domande ad alta voce, indirizzate in realtà quasi più a me stessa che non a lui, e di sue risposte ben calibrate, aperte e assolutamente rinforzanti, che nel ricordarmi la mia propria storia di gallerista, aprivano in realtà nuovi scenari e prospettive. Pan per i denti del mio Ego affamato più che mai in quel momento di spazio, attenzione e riconoscimento!
E: “certo sarebbe bello fare una mostra” e P “e si Be, eri brava, hai di certo lasciato un segno”. E: “certo l’idea di organizzare una bella mostra in un posto particolare mi stuzzicherebbe” P: “e si il momento è giusto, i bambini son cresciuti”… E: “bé effettivamente perché no?!”
A quel punto la porta era riaperta, ho iniziato letteralmente a gasarmi e nel parlare del possibile posto mi è venuto un flash. “Idea” ho esclamato “proprio ieri sera ero a casa di un’amica che aveva prestato il suo appartamento per presentare la collezione di gioielli di un’amica e chiacchierando è uscito fuori che avrebbe affittato a breve la sua casa… Sai che faccio? Mi faccio dare case in affitto o in vendita sul mercato immobiliare per massimo 2 settimane e organizzo mostre e l’operazione la chiamo “Artisti in affitto”.
P. mi aveva dato il là ed ero ormai partita letteralmente in quarta. Per 5/6 giorni non pensai ad altro facendo una fatica immane a non parlarne a nessuno. Ma al settimo giorno, senza un vero e proprio valido motivo, così come mi ero montata e gasata mi sono bocciata in toto tutta l’idea e le sue molteplici sfaccettature.
A quel punto sono state una serie di circostanze a riportarmi sui miei passi: l’amica che avrebbe affittato a breve la sua casa, con la quale eravamo rimaste di prendere un caffè (cui però non era mai seguita una mia telefonata – causa “onda anomala negativa”) che incrociandomi a scuola dei miei figli mi ha chiesto il perché non l’avevo più chiamata alla quale in pochi minuti ho riassunto lì per lì la mia idea; poco dopo, l’incontro con la nostra generosa e gentilissima padrona di casa alla quale ho proposto l’idea, sorseggiando al volo un orzo e un caffè, e si è mostrata subito disponibile ed entusiasta.
Se sono stata così prolissa è stato unicamente per darvi un idea dello spirito con cui ri-nasco sotto le nuove vesti di Arteealtro.
Non più legata a quelle dinamiche restrittive del mondo dell’arte, con cui una galleria deve necessariamente fare i conti, che implicano inevitabili compromessi, ma libera più che mai di poter spaziare, sia nella scelta degli artisti, che in quella dei fruitori. Con Arteealtro non voglio assolutamente parlare né artese né critichese ma vorrei tanto che passasse una forma altra, più alta ed universale di comunicazione, fatta di empatia e risonanza, di accoglienza e calore. Con Arteealtro sarò ancor più determinata nel dar spazio a nuovi talenti, ma anche a ridar voce a chi lavora seriamente da anni, senza aver mai avuto degno riconoscimento, la cui parabola umana ed artistica rischia di finire ante-tempo nel dimenticatoio. Con Arteealtro mi piacerebbe creare sinergie tra i vari settori della cultura e con il sociale affinché quel filo, inaspettatamente ripreso in mano, possa rafforzarsi, svilupparsi e lasciare col tempo una traccia del suo passaggio.
Cari Tutti, sono felice ed emozionata di lavorare nuovamente con Voi e piacevolmente sorpresa nel riscoprire il Vostro lavoro che ritrovo oggi inevitabilmente cresciuto, cambiato, evoluto…
Elisabetta Giovagnoni
Roma, 30 Gennaio 2014